Un sogno chiamato New York


 
Un anno fa circa, se mi avessero parlato di corse a piedi o ancora meglio di maratona, avrei dato del matto a chi mi avesse proposto una roba del genere. Invece oggi sono qui felice come un bambino a raccontare un sogno che si è realizzato qualche giorno fa proprio a New York. Tutto è incominciato per un problema di natura fisica, dopo una serie di visite e controlli medici: la soluzione dei miei problemi consisteva semplicemente nel calare di peso. La fortuna ha voluto che un mio caro Amico sia anche un incallito maratoneta e così, generosamente, Gianni si è messo a mia disposizione per accompagnarmi a correre.
Devo ammettere che le prime volte mi sentivo goffo, impacciato e affaticatissimo, quasi mi vergognavo. Però, con la testardaggine che mi contraddistingue, associavo gli allenamenti a un regime alimentare molto rigoroso. I primi tempi sognavo piatti di spaghetti o – che so io! – grigliate di pesce o carne, ma quando la bilancia ha incominciato a dirmi che il mio peso calava a ritmi di un chilo alla settimana, non ho avvertito più alcuna difficoltà a rinunciare alle leccornie che mi proponeva mia suocera. Da quei giorni freddi e nebbiosi di novembre dicembre 2006, ne è passato di tempo, e, contemporaneamente, diminuiva il tempo di percorrenza dei chilometri che macinavo con le mie splendide scarpette da corsa, sempre guidato da un amico, che dico! un caro amico che è ormai come un fratello. Gianni sacrifica i suoi risultati per guidarmi con saggezza ai traguardi. Ricordo che nella prima gara ufficiale a Brugnera un suo amico, non conoscendo la nostra storia, gli chiese come mai fosse arrivato ultimo, se avesse problemi di salute, ma quando capì, chiese scusa e si complimentò.
Come dicevo, il tempo di percorrenza diminuiva sempre costantemente: a febbraio facevo 21 Km. in circa 3 ore e 30 minuti, per scendere a circa 3 ore in marzo. Tuttavia mi spaventai quando Gianni mi comunicò di avermi iscritto alla maratona di Padova. Il dott. Zanatta, che mi seguiva con occhio medico e da maratoneta, mi incoraggiava dandomi consigli sull’alimentazione corretta e tranquillizzandomi con frasi tipo: ce la farai, stai tranquillo. Il 22 aprile 2007, durante il tragitto in pullman verso il luogo di partenza della gara padovana, ad un certo punto dissi: “Ma io dovrei fare tutta questa strada a piedi?” Io non scherzavo, ero proprio spaventato. Il risultato fu quello di tagliare il traguardo con un tempo di 5 ore e 33 minuti. Al trentesimo chilometro ebbi una crisi, ricordo di aver pronunciato frasi come questa: “Gianni, scusa se ti deludo, ma credo di non farcela, Gianni, lasciami qui e prosegui da solo”. Lui in un frangente mi rispose: “Dài, resisti, non mi sono mai fermato, non crederai di farmi fermare tu!” Poi all’ultimo km. mi sono sentito pervaso da una forza incredibile e ho ripreso a correre come se nulla fosse, tagliando il traguardo tra due ali di folla che ci incitava.
Il tempo di percorrenza calava ancora sensibilmente anche a Udine, la mezza l’ho fatta in 2.05, quella di Pordenone in 1.56. Il primo novembre quindi finalmente sono salito sull’aereo che ci ha portato a New York con il gruppo Pordenone-Udine denominato “Fai correre un Bambino”. L’emozione che si prova non si può descrivere, fino al momento della partenza abbiamo vissuto tutti insieme dei momenti con una carica emotiva e la frenesia di un bambino che sta per aprire i suoi regali. Finalmente eccomi alla partenza, Gianni sempre al mio fianco, il cordino pronto, il cuore in gola. Di tanto in tanto una lacrima usciva furtiva, non riuscivo a tener fermi i piedi, stavo per percorrere i 42.195 km. più famosi del mondo e io ero li, pronto a scattare. Il cannone spara un colpo a salve, si parte, migliaia di podisti, tutti con la mia stessa voglia di correre si muovono sul ponte di Verrazzano, la voce di Frank Sinatra che canta New Y. New Y, accompagna i nostri primi passi attraverso due ali di folla festante che ci incita e saluta. Questo spettacolo ci ha accompagnato ininterrottamente per tutto il tragitto fino ad arrivare a Central Park. Man mano che macinavamo km., i maratoneti più veloci al momento del sorpasso mi salutavano e mi incitavano. Non importava la loro nazionalità, per me era un’emozione continua, io cercavo di salutare e ringraziare tutti, ma era impossibile e quindi ero spesso con la mano alzata a salutare la folla di spettatori e amici maratoneti. Al settimo km, circa ho cominciato ad avvertire un dolore al ginocchio destro: “La tendinite si sta risvegliando – mi son detto – Tullio, stringi i denti e pedala, non tirare fuori scuse, qualsiasi cosa succeda, al traguardo bisogna arrivarci a costo di strisciare”. “Go Tullio! – ha detto un maratoneta, credo australiano – il tuo esempio dà forza a tutti noi”! Gianni, oltre che accompagnarmi mi traduceva ciò che mi dicevano gli stranieri e mi descriveva i colori e l’ambiente che man mano incontravamo. Sul Queens Triborough Bridge, la salita non finiva mai, il dolore al ginocchio diventava sempre più insistente, eravamo solo tra il 25° e 30° km, di strada ce n’era ancora parecchia. Ho fatto appello a tutte le mie forze, a tutte le mie energie e la voglia di arrivare al traguardo era più forte di ogni altra cosa. Dimenticavo un particolare importantissimo: prima di partire, nell’area di sosta, io e Gianni ci siamo fermati a pregare qualche minuto presso una zona riservata al raccoglimento. Tra le mie preghiere ho detto: “Signore, qualunque sia la tua volontà, fa che non succeda nulla di male a nessuno, e che tutti possano godere della gioia di arrivare a Central Park con le braccia levate al cielo”. Chissà se Gesù fosse stato tra noi! Anzi, Lui corre sempre al nostro fianco, perché correre è nobile e rende gli uomini uguali e generosi verso il prossimo. La strada continuava, attraversando via via i quartieri di Staten Island, Brooklyn, Queens, Bronx, Manhattan. La gente di ogni colore della pelle e di ogni origine era sempre festante. Gianni diceva: “Tullio, si vedono in fondo i grattacieli di Manhattan”! Io non rispondevo, solo per risparmiare fiato ma dentro di me dicevo: “Beato te che li vedi!” E giù una pastiglia di Enervit! “Gianni, mi fanno schifo, mi bruciano la gola!” “Non importa, butta giù e corri!”. Finalmente entriamo a Central Park, i 5 km. più duri della mia breve carriera da podista, sali e scendi interminabili e durissimi, le grida festanti e incitanti purtroppo non riuscivano a coprire il dolore atroce al mio ginocchio. “Gianni reggimi, non ce la faccio, Gianni dammi un po’ di tregua, Gianni camminiamo un po’!” Così tra un sostegno, una breve camminata, finalmente in lontananza individuo il traguardo. Mi aspettavo il guizzo finale nel quale confidavo, ma il dolore era di una tale intensità che era già un miracolo essere al traguardo. La gioia è stata talmente grande che lì per lì mi sono quasi dimenticato del mio ginocchio. Qualcuno mi ha messo una medaglia al collo, avevo appena percorso i 42.195 km più prestigiosi del mondo e io ero tra i protagonisti, mi sono buttato al collo di Gianni: “Grazie, grazie infinite, non sai cosa conta per me averti come amico, ancora grazie!” Mentre ci incamminiamo verso il camion per il ritiro della nostra sacca, ho incominciato a non sentire più le labbra, la lingua e le mani, avevo dato fondo a tutte le mie energie, non avevo più nulla da dare, il viso ricoperto dal sale, i capelli ispidi dal sudore, le gambe stanche e i piedi doloranti, ma il cuore talmente pieno di gioia che tutto ciò che sentivo era solo un minimo fastidio. Avevo appena fatto la maratona di New York. Il sogno si era appena avverato… Avevo abbassato il tempo personale di 40 minuti, concludendo la gara in 4 ore 52 minuti e 26 secondi.
 
Tullio Frau

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